Sono mesi che gran parte del dibattito dell’opinione pubblica o della cosiddetta società civile ruota intorno al problema del gioco d’azzardo, si parla di malati, di divieti e limitazioni senza mai accennare a diritti e autorizzazioni concesse.
Tutto ciò che può apparire condivisibile sul piano ideologico e culturale si scontra sempre con la realtà dei fatti, con l’Amministrazione della cosa pubblica che è strutturata su una base di contratti, regole e procedure.
In uno Stato di diritto i contratti si rispettano, come si rispettano le leggi, e per prima, anche a titolo di esempio, è chiamata a farlo la Pubblica Amministrazione, è una condizione primaria per dimostrare affidabilità e credibilità.
Una propaganda ben fatta, però, può anche condizionare la volontà amministrativa e per le parti che si ritengono offese resta la soluzione di ricorrere nelle sedi competenti.
Certo, l’eventuale accusa di inadempienza per uno Stato costituisce un precedente pesante. Se l’Italia – ad esempio – mostrasse per i contratti obbligazionari dei BTP lo stesso rigore e attenzione che fino ad oggi ha dedicato ai contratti di concessione dei diritti di gioco saremmo in bancarotta. Nessuno comprerebbe più il debito italiano e ci troveremmo nelle stesse condizioni dell’Argentina di qualche anno fa.
Nel settore dei giochi infatti questa maggioranza di governo, cercando di attuare una delle soluzioni “smart” dell’ex Premier, con la manovra di Stabilità 2015 ha chiesto ulteriori 500 milioni di euro al settore delle Slot annunciando, con populistiche slide, la volontà di ritrattare i contratti di concessione stipulati dalla Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
La richiesta di questi ulteriori 500 milioni è andata a ridurre le opportunità di quelle aziende che avevano ottenuto, a seguito della partecipazione ad un bando di gara e a titolo oneroso, il diritto di offrire giochi in Italia. Ha ridotto quei diritti commerciali che lo Stato aveva già venduto sul mercato.
Inoltre questa legge dei 500 milioni è stata scritta in modo talmente confuso che ancora oggi, dopo diversi mesi, siamo in attesa di vederne la completa applicazione. Qualche operatore ha pagato quanto richiesto, magari solo una parte, altri non hanno versato nulla. Si attende per questo la pronuncia definitiva della Magistratura nonostante il legislatore sia già intervenuto per modificare la legge.
Cambiato il Premier la politica dell’Esecutivo è rimasta la stessa e i diritti delle concessioni di gioco vengono ulteriormente ridotti da un decreto che stabilisce modalità di riduzione coatta delle Newslot autorizzate, del 15% entro il 31.12.2017 e successivamente del 34,9% entro il 30.04.2018.
Anche il testo di questo decreto appare confuso e di difficile attuazione, va a modificare le condizioni secondo le quali sono state proposte le concessioni e i diritti alla raccolta dei giochi ma non aggiunge alcun vantaggio a compensazione del danno che verrà arrecato agli operatori.
Sarà difficile allora evitare il contenzioso, soprattutto con il diffondersi dei provvedimenti territoriali di espulsione dei giochi che, imponendo altre limitazioni alle installazioni e limitazioni dell’orario di esercizio, modificano ulteriormente il diritto concesso di offrire il gioco.
E il contenzioso, quello ben più pericoloso, si teme tra i piccoli attori della filiera che, anche rispettando scrupolosamente le regole, saranno fortemente penalizzati dalle nuove disposizioni.
Nelle modalità indicate per i criteri che obbligheranno alla dismissione di parte degli apparecchi, ad esempio, non c’è attenzione alle peculiarità con cui avviene la distribuzione delle slot in Italia.
Il proprietario delle Newslot spesso non è il concessionario, l’apparecchio è generalmente installato secondo accordi privatistici regolati da un contratto a tre che impegna lo stesso concessionario, l’esercente e il proprietario dell’apparecchio, ma la riduzione viene calcolata e regolamentata osservando esclusivamente i dati di distribuzione e raccolta territoriale dal punto di vista del concessionario. Così, con l’attuazione della norma è difficile non ipotizzare contenzioso tra le diverse parti della filiera.
Nel decreto di riduzione degli apparecchi, inoltre, non c’è traccia di quei 500 milioni, non c’è nessuna differenza tra le slot riconducibili ad operatori che hanno pagato la Stabilità 2015 e quelli che non hanno pagato nulla.
Potrà accadere allora che una Newslot, gestita rispettando tutte le disposizioni nazionali e territoriali, sia obbligata comunque alla dismissione anche se proprietario, esercente e concessionario abbiano adempiuto alla legge sui 500 milioni versando la parte loro richiesta.
Ancora più triste l’ipotesi in cui soltanto uno dei tre attori ha versato la Stabilità 2015 e l’apparecchio sarà costretto alla dismissione.
Credere nelle regole e nello Stato diventerà sempre più difficile in un settore dove – questo è forse il principio da non dimenticare mai – l’operatore in regola è presidio di legalità sul territorio, in un mercato dove fino a pochi anni fa era deregulation e videopoker.
Fonte notizia: JAMMA