Per i giudici della Cassazione “la CTR non ha reso intellegibili le ragioni per le quali sono stati ritenuti ininfluenti i mezzi di prova sottoposti alla sua attenzione dalla parte contribuente”.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di una società di gestione di apparecchi da intrattenimento contro l’Agenzia delle Entrate per una serie di avvisi d’accertamento con i quali l’ufficio, in relazione all’anno 2007 rideterminava i redditi di quest’ultima, poi cancellata dal registro delle imprese nel 2010, e, quindi, di ciascun socio della oramai disciolta compagine sociale.
La Commissione Tributaria Provinciale e la Commissione Tributaria Regionale rigettavano le ragioni dei contribuenti, basandosi sulle medesime ragioni.
I ricorrenti hanno proposto ricorso affidato a due motivi mentre l’ufficio ha resistito con controricorso.
Con il primo e il secondo motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, i ricorrenti denunciano, da una parte, il vizio di nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/92 (vizio di motivazione apparente), in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c. e dall’altra, il vizio di omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art.
360 primo comma n. 5 c.p.c., in quanto, i giudici d’appello si sarebbero limitati a prendere in considerazione ed a disattendere l’eccezione di nullità
dell’avviso d’accertamento per intervenuta estinzione della società, ma avrebbero, con motivazione meramente apparente, disatteso gli argomenti e gli elementi probatori addotti dai contribuenti sulla correttezza dei ricavi dichiarati dalla società esercente il gioco lecito, con riferimento all’anno d’imposta 2007, ed in particolare i documenti attestanti l’erroneità della ricostruzione dei redditi d’impresa operata dall’ufficio; né la CTR avrebbe
correttamente considerato nei contratti trilaterali tra concessionario, esercente e gestore quale fosse la percentuale di ripartizione dell’utile residuo in favore della società esercente.
Secondo la Corte “La sentenza pronunziata in sede di gravame è legittimamente motivata “per relationem” ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in
relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia
impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame” (Cass. n. 14786/2016, Cass., S.U., n. 8053/14).
Nel caso di specie, nella sentenza impugnata si afferma: “Gli appellanti hanno impugnato in modo molto superficiale la sentenza di primo grado e gli stessi non hanno provato in merito al metodo di determinazione dei ricavi a agli importi corrisposti agli esercenti, e non sono, quindi, riusciti a superare le presunzioni, gravi, precise e concordanti. La sentenza qui gravata risulta correttamente motivata anche con riguardo all’irrogazione
delle sanzioni IVA. Sono queste le ragioni e le motivazioni per le quali la sentenza qui gravata viene confermata con rigetto dell’appello proposto dagli appellanti”.
“Sulla base di tali considerazioni, si deve rilevare come la motivazione della sentenza di appello si fonda su affermazioni del tutto generiche e apodittiche, prive di specificità rispetto all’oggetto del gravame e della controversia dedotta in giudizio. In particolare, la CTR non ha reso intellegibili le ragioni per le quali sono stati ritenuti ininfluenti i mezzi di
prova sottoposti alla sua attenzione dalla parte contribuente, configurandosi
pertanto la motivazione della sentenza impugnata come non rispondente ai
parametri del “minimo costituzionale” enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., S.U., n. 8053/14)” scrivono i giudici .