Un numero crescente di istituti bancari, specie in tempi di pandemia, sta revocando conti correnti e negando finanziamenti di sostegno agli operatori del gioco, sul presupposto di un codice “etico” che non fa altro che danneggiare imprese legali favorendo la riemersione dell’illegalità. A intervenire sul tema l’esperto Francesco Scardovi, consulente fiscale del Criga, in un articolo dedicato sulla rivista Gioco News di Maggio 2021.
Il sistema concessorio per la gestione della raccolta di gioco pubblico italiano si fonda su una serie di norme e regolamenti volti ad un controllo telematico e sistematico delle giocate realizzate mediante gli apparecchi da intrattenimento con vincita in denaro e le sale da gioco, scommesse e Bingo.
Attraverso tale sistema concessorio (tra i più articolati e controllati al mondo e assunto a modello da tutti gli altri paesi che stanno regolando la raccolta di giochi pubblici con vincita in denaro) ogni “giocata” viene trasmessa dagli apparecchi da gioco e dalle agenzie di raccolta scommesse attraverso un sistema di connessione telematica ai server dei concessionari (con appositi “punti di accesso” o Pda). Ogni movimento pertanto risulta tracciato e contabilizzato, senza alcuna possibilità di “sfuggire” al controllo del sistema ed al prelievo erariale ed i trasferimenti delle somme raccolte devono obbligatoriamente avvenire a mezzo di bonifici bancari, con apposito CIG (codice identificativo di gara) assegnato da ciascun concessionario.
Lo stesso dicasi per il sistema di raccolta di gioco online (poker games, scommesse, slot machines) da parte dei concessionari autorizzati, operanti sotto il dominio del “punto.it”.
Tutto il sistema di raccolta di gioco legale necessita pertanto della collaborazione tra gli operatori ed il sistema bancario, chiamato anch’esso al rispetto delle norme in materia di tracciabilità dei flussi e di protocolli “antiriciclaggio” .
Purtroppo da diversi anni, e in misura ancora più diffusa in tempi di pandemia, numerose banche hanno cominciato a disincentivare e risolvere i rapporti con gli operatori di raccolta inviando alle aziende comunicazioni aventi ad oggetto: l’obbligo di rientro immediato degli affidamenti concessi e utilizzati, la risoluzione dei contratti di mutuo e finanziamento in corso, la chiusura dei conti correnti (ancorchè attivi), il diniego di accensione di nuovi rapporti di conto corrente (anche solo attivi) e di nuovi finanziamenti.
Forse, pesa nell’operatività degli Istituti, specie per quelli periferici e meno strutturati, la mole di adempimenti e di oneri connessi agli adempimenti imposti per la gestione dei rapporti con gli operatori; si pensi ad esempio alle giornaliere operazioni di riversamento di monete metalliche (unico strumento di funzionamento delle slot machines da bar) che comunque ha sempre determinato, da parte delle aziende, l’assolvimento degli elevati oneri bancari e commissioni richiesti dalle banche.
Ma la vera motivazione al diniego dei rapporti, talvolta indicata in forma scritta e nella maggior parte dei casi solo verbalmente, deriva dall’applicazione di un presunto Codice etico della singola banca, che impone all’Istituto di non intrattenere rapporti con soggetti ed imprese operanti in attività connesse: “al gioco d’azzardo, al traffico di armi e allo sfruttamento della prostituzione”.
E’ dunque evidente l’equivoco sul quale si fonda il comportamento del sistema bancario che continua a considerare il “gioco d’azzardo” (termine che per l’ordinamento penale italiano si riferisce ad una “tipologia di gioco nel quale ricorre il fine di lucro e la vincita o perdita è completamente o quasi aleatoria”) quale attività penalmente rilevante e fautrice di degrado sociale, da cui prendere le distanze. Lo stesso equivoco è emerso dalla lettura dell’allegato 4 al modulo di richiesta di finanziamenti con garanzia pubblica previsti dai decreti di sostegno alle imprese durante l’emergenza pandemica (Decreto Rilancio).
Anche in quel modulo, di estrazione Europea, tra i requisiti di accesso alla garanzia, si escludevano le attività connesse al gioco d’azzardo, al pari di attività connesse al di traffico di organi, alla pornografia etc. ricomprendendo in tali attività illegali quelle non regolate dagli Stati membri, considerato che, fino ad alcuni anni fa, la maggioranza dei paesi europei non aveva legalizzato il gioco. Ma tale diniego non può valere per i paesi che hanno regolato il gioco riservandolo allo Stato.
In Italia il “gioco d’azzardo” è stato legalizzato, attraverso una specifica Riserva di Legge, relativamente all’offerta di alcuni giochi con vincita in denaro (e dunque “di azzardo”, per definizione) quali gli apparecchi da gioco, la raccolta di scommesse etc.
Tutte le aziende di raccolta di gioco legale operano in virtù di concessioni, licenze ed autorizzazioni rilasciate dalla Pubblica Amministrazione e dalle Questure competenti per territorio (ai sensi degli artt. 86 e 88 del Testo Unico di Pubblica Sicurezza).
Titoli che comportano tra l’altro il necessario possesso di requisiti professionali e reputazionali particolarmente rigidi e selettivi oltre che ingenti investimenti per l’esercizio di impresa.
Quindi, anche da un punto di vista giuridico, per il settore che ci occupa, non si tratta di gioco d’azzardo (assimilabile a reato) ma al contrario di “gioco legale” cioè di attività regolata dallo Stato ove le aziende operano legittimamente con finalità di assoluta rilevanza “anche da un punto di vista etico” per il Paese:
Con una funzione di raccolta di entrate erariali (assimilabili ad un ente di riscossione), pari ad arrotondati 11,5 miliardi di euro annui, ridotte di circa 5 miliardi nel corso della pandemia, con l’impiego di decine di migliaia di lavoratori.
Rappresentando il primo baluardo contro la riemersione del gioco illegale (come confermato anche dalle recenti relazioni del Direttore dell’Agenzia dei Monopoli Marcello Minenna e dal Procuratore Antimafia Cafiero De Raho, all’esito delle attività investigative che hanno sgominato, durante il lockdown, svariate decine di sale clandestine ed illegali).
Ma la maggior parte delle imprese del comparto si è vista chiudere i conti correnti e negare l’accesso ai finanziamenti con garanzia pubblica, necessari ed indispensabili al superamento della drammatica crisi economica conseguita alla pandemia.
In alcuni casi sono invece stati erogati finanziamenti con garanzia pubblica in sostituzione (parziale o integrale) di linee di credito in precedenza concesse dall’Istituto, con l’intento evidente di sollevare la banca dal rischio di inadempimento del cliente a danno dello Stato, oppure richieste garanzie fideiussorie sproporzionate rispetto alle linee di credito in essere.
Siamo addirittura arrivati al paradosso che vengano negati finanziamenti e mutui ai dipendenti di aziende del comparto gioco legale (ad esempio per l’acquisto della prima casa) per via dell’attività del datore di lavoro.
Alcuni operatori si sono visti costretti ad attivare conti correnti postali (ad oggi ancora concessi) se pur con enormi difficoltà e rischi di riversamento negli uffici postali dei denari raccolti presso i locali e gli apparecchi, ma non può essere questa la soluzione.
Spiace verificare anche che il diniego di accesso al credito sia una prerogativa delle piccole e medie imprese italiane che operano a vario titolo nella raccolta e nella gestione di apparecchi da gioco e sale mentre, nella maggior parte dei casi, gli stessi istituti che negano il finanziamento o chiedono il rientro alle piccole imprese, finanziano per decine di milioni di euro le grandi multinazionali del gioco (favorendo anche la collocazione di azioni e di bond).
Ma tali comportamenti, anche a seguito delle numerose segnalazioni effettuate dagli operatori e dalle associazioni di categoria del settore, comprovati da centinaia di documenti, hanno determinato l’attivazione della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul Sistema Bancario, presieduta dall’On.le Carla Ruocco, che ha avviato una serie di indagini e consultazioni.
Nei giorni scorsi è stato audito tra gli altri il Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, Giovanni Sabatini, su istanza dei Membri della Commissione, ovvero il senatore Andrea De Bertoldi e l’onorevole Tommaso Foti di Fratelli D’Italia, insieme all’onorevole Maurizio D’Ettore di Forza Italia, che hanno illustrato le criticità del sistema e la necessità che l’Abi faccia chiarezza su una serie di comportamenti ritenuti illegittimi oltre che scorretti, specie per quanto riguarda le intervenute immediate risoluzioni di rapporti pur in mancanza di pregiudizi o condotte irregolari dei contraenti.
Ci auguriamo che i lavori della Commissione contribuiscano a fare definitiva chiarezza sull’equivoco del codice etico sanzionando i comportamenti che dovessero risultare illegittimi e che stanno definitivamente annientando, in tempi di pandemia, centinaia di aziende.
Sul presupposto che gli operatori del gioco legale sono “al servizio dello Stato” ed anzi un baluardo contro la diffusione del gioco illegale e che, per operare, hanno l’imprescindibile necessità della collaborazione del sistema bancario, a cui si chiede eticamente “voltare pagina” favorendo l’apertura e lo sviluppo delle collaborazioni con le aziende che operano nel comparto del gioco pubblico, sempre ove ne ricorrano i presupposti di regolarità e legalità.