Sarà il Giudice europeo a valutare la legittimità della cosiddetta “tassa di 500 milioni”: ecco come e perché, oltre ai possibili risvolti per gli addetti ai lavori, nell’articolo pubblicato dalla rivista Gioco News di ottobre 2020, nella rubrica “Fisco e Slot”, a cura di Francesco Scardovi, Consulente fiscale del Criga, e Gianfranco Marzo, avvocato Managing Partner dello Studio Marzo e Associati.
Con un recente ordinanza (la n. 5299 del 31 agosto 2020), la Sezione IV del Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, previa sospensione del giudizio, la questione di compatibilità con il diritto Ue del prelievo “una tantum” di 500 milioni di euro imposto agli operatori del settore delle slot machine, per l’annualità 2015, al Legislatore italiano.
Normativa di riferimento
Tutto nasce dalla previsione del comma 649 dell’articolo 1 della Legge 23 dicembre 2014 n. 190 (la cosiddetta “Legge di Stabilità 2015”) con cui il nostro Legislatore, avendo preso atto che la delega conferita al Governo con l’articolo 14 della Legge 11 marzo 2014 n. 23 era rimasta pressoché inattuata, ha assoggettato le società concessionarie Awp e Vlt, in proporzione al numero di apparecchi posseduti alla data del 31 dicembre 2014, a un prelievo aggiuntivo di complessivi 500 milioni di euro. Con la Legge di Stabilità 2016 (Legge 28 dicembre 2015 n.208, art.1, commi 920 e 921), tuttavia, anche a seguito delle contestazioni insorte fra gli operatori della filiera per le evidenti contraddizioni della norma originaria, il Legislatore è tornato sui propri passi. Da un lato, infatti, ha abrogato il predetto comma 649 e, dall’altro, ha precisato che il prelievo introdotto “si applica a ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015”. La novella, in sostanza, oltre a limitare temporalmente al solo 2015 il prelievo, ha coinvolto nel pagamento una tantum – del quale originariamente rispondevano i soli concessionari – tutti gli operatori della filiera.
L’iter giurisprudenziale
Il giudizio oggetto di questa trattazione ha preso le mosse dall’impugnazione, da parte di uno dei tredici concessionari aggiudicatari della gara indetta con il bando dell’8 agosto 2011, del decreto n. 388 del 15 gennaio 2015 (prot. n. 4076/Ru) con cui, in ottemperanza alle previsioni della Legge di Stabilità 2015, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, previa determinazione del numero di apparecchi riferibili a ciascun concessionario, aveva liquidato le somme conseguentemente dovute. Il Giudice di prime cure, in accoglimento delle richieste avanzate dalla società, aveva rimesso gli atti alla Corte costituzionale la quale, tuttavia, in considerazione delle modifiche introdotte dalla Legge di Stabilità 2016 nelle more del giudizio di costituzionalità, aveva disposto la restituzione degli atti per un nuovo vaglio di rilevanza della questione (sentenza 13 giugno 2018 n. 125). Ritenendo la questione superata, il Tar aveva respinto il ricorso con sentenza della II Sezione (n. 8206 del 24 giugno 2019), conseguentemente impugnata dalla società dinanzi al Consiglio di Stato. In sede di gravame, nella sostanza, l’appellante aveva ribadito che anche in seguito all’intervento del Legislatore interno la normativa continuava a presentare profili di incompatibilità non solo rispetto alla Costituzione ma, altresì, rispetto al diritto dell’Unione Europea. Reiterando, conseguentemente, le richieste di rinvio alle Autorità competenti. Il Consiglio di Stato, dopo aver constatato che “il gioco lecito è un settore economico rilevante per tutto il relativo mercato, e non soltanto per quello nazionale” ha ritenuto di dare priorità alla questione pregiudiziale comunitaria e, conseguentemente, disposto la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Ad avviso del Giudice interno, infatti, la normativa interna presterebbe il fianco a dubbi di compatibilità con il diritto Ue per potenziale contrasto non solo con i diritti di stabilimento e di libertà di prestazione dei servizi disciplinati dagli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (Tfue) ma, altresì, con cd. principio di tutela dell’affidamento. Principio che, pur non essendo espressamente previsto e regolamentato dal Trattato o da altri testi normativi dell’Unione, è stato definito dalla Corte di Giustizia uno dei “principi generali comuni ai diritti degli Stati membri” tutelati dall’art. 340 Tfue.
In ordine alla prima questione, secondo il Consiglio di Stato, le modifiche introdotte dai commi 920 e 921 dell’art. 1 della Legge di Stabilità 2016 avrebbero dato vita ad un paradossale prelievo economico retroattivo. Un prelievo, cioè, che colpendo i ricavi maturati nel 2015, potrebbe determinare una restrizione delle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 Tfue non giustificabile sulla base di motivi imperativi di interesse generale. Le mere esigenze di gettito sottese all’intervento normativo in esame, infatti, sono state ripetutamente ritenute dal Giudice europeo inidonee a giustificare una limitazione dei diritti tutelati dal diritto dell’Unione. Particolarmente interessanti, a parere degli scriventi, risultano le considerazioni svolte in ordine alla seconda questione prospettata, relativa all’ipotizzato contrasto con il principio di tutela dell’affidamento, inteso come interesse del privato alla “certezza e prevedibilità del quadro normativo entro il quale si svolgono i rapporti in corso”. Come condivisibilmente osservato dal Consiglio di Stato, infatti, la normativa censurata ha inciso ingiustificatamente su rapporti già in corso, peggiorandone i termini economici ed alterando i calcoli di convenienza fatti dai concessionari al momento di sottoscrizione dell’accordo. L’intervento, nella sostanza, è risultato assolutamente non prevedibile per i contribuenti coinvolti ai quali sono stati autoritativamente e unilateralmente imposti oneri nonostante l’esistenza di un rapporto di concessione di per sé è vincolante al pari di un contratto, sul quale gli stessi avevano legittimamente riposto affidamento.
Le questioni poste alla Corte di Giustizia Ue
Sulla base delle riportate considerazioni, in accoglimento delle richieste avanzate dalla società appellante, il Giudice ha disposto la sospensione del giudizio invitando la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 Tfue, a valutare: a) se una normativa, come quella italiana che ha ridotto gli aggi e i compensi nei confronti di una limitata e specifica categoria di operatori sia compatibile con i diritti di stabilimento e di libertà di prestazione dei servizi disciplinati dagli articoli 49 e 56 del Tfue; b) se l’introduzione di una normativa che per sole ragioni di gettito erariale riduca il compenso pattuito in una convenzione di concessione stipulata tra una società ed un’amministrazione dello Stato Italiano nel corso della durata della stessa sia compatibile con il principio di matrice comunitaria della tutela del legittimo affidamento. A prescindere dall’esito del giudizio, il Giudice europeo risulta senza dubbio l’Autorità più indicata ad esprimere un giudizio di legittimità scevro da condizionamenti di natura politica.
Implicazioni contabili e fiscali
Un tale labirinto giuridico inestricabile ha inevitabilmente creato agli operatori, come più volte rilevato in queste pagine, problematiche e dubbi sulle corrette rilevazioni contabili e fiscali della quota di prelievo (definito dalla norma quale “riduzione di aggi di raccolta”) evidentemente inquadrabile come componente negativa del conto economico se pur di avverso i rendiconti arbitrariamente predisposti dai Concessionari, alcuni hanno ritenuto a fine anno di accantonare una quota dell’onere a fondo rischi, altri hanno rilevato i proventi effettivi raccolti presso i locali rinviando la rilevazione dell’onere, altri ancora hanno provvisoriamente dedotto la quota rendicontata a seguito di intervenuta negoziazione con i concessionari. Ancora una volta in un palese stato di “incertezza normativa” con i conseguenti rischi di possibili contestazioni tributarie.
Ad oggi la maggior parte degli operatori, a seguito delle pressioni commerciali operate dai concessionari e delle azioni legali avviate dagli stessi prima e dopo le intervenute sentenze, hanno regolato le proprie pendenze in tema di contributo stabilità. Nell’evidenza che, ove la Corte dovesse giudicare la norma illegittima, tutti gli operatori avrebbero diritto al rimborso di quanto “indebitamente” versato.